Cenni storici
Storia del Comune di Sant'Albano Stura
Furono almeno tre i processi di fondo a caratterizzare la formazione del territorio di Sant’Albano Stura come entità amministrativa tra il medioevo e l’età contemporanea: innanzitutto, la polarizzazione tra un insediamento centrale e cascinali sparsi; in secondo luogo, la concentrazione del potere politico ed economico; infine l’attrazione esercitata dalla città di Mondovì nonostante la prossimità geografica della città di Fossano. Tra medioevo ed età moderna la produttività agricola relativamente elevata incoraggiò, in presenza di particolari condizioni politiche, la concentrazione di gran parte delle terre più fertili e produttive nelle mani di un numero limitato di grandi proprietari fondiari. I loro poderi, sede di uno o più cascinali o case coloniche e condotti da famiglie coltivatrici di coloni parziari o «massari» in cambio di una quota del prodotto, erano di dimensioni tali da assicurare la massima possibile rendita in natura per il proprietario al di là del necessario per il sostentamento dei coltivatori. Data l’ecologia di Sant’Albano, il territorio comunale fu dunque interessato in modo assai omogeneo dalla storia dell’appoderamento. Nel corso della prima età moderna assistiamo all’accentuarsi della contrapposizione tra «il recinto», vale a dire il concentrico dell’abitato di Sant’Albano, e ciò che è «fuori recinto», vale a dire i cascinali, intorno a una serie di prerogative politiche ed economiche, sociali e religiose.
Da un punto di vista economico, durante questo periodo la regione agricola a sud del concentrico, in particolare, fu uniformata, nella sua vocazione agricola, al resto del territorio di Sant’Albano. Le opere di canalizzazione tardomedievali, già destinate in parte alla risicoltura presente a Crava e Morozzo, vennero progressivamente utilizzate per l’irrigazione di campi coltivati a grano. L’abolizione della risicoltura nella seconda metà del secolo XVII estese in questa parte del territorio l’appoderamento per opera dei grandi proprietari fondiari.
I rilevamenti condotti dal governo centrale alla vigilia dell’opera di riforma fiscale nota come Perequazione generale dei primi anni del secolo XVIII attestano lo schiacciante predominio della grande proprietà e della grande conduzione. Quasi metà del territorio godeva ormai a quest’epoca di esenzioni («immunità») fiscali a esclusivo beneficio dei grandi proprietari e dei loro poderi, che si estendevano ormai su ogni parte del territorio. Gli stessi grandi proprietari, dotati di prerogative signorili o feudali tenacemente difese, sono, a quest’epoca, anche tra i massimi proprietari delle terre allodiali, quelle cioè pienamente soggette al prelievo fiscale. Sia la proporzione di terre fiscalmente «immuni» sia la proporzione di terre in mano ai grandi proprietari sono tra le più elevate del Piemonte.
Alcuni indizi suggeriscono che la contrapposizione tra «recinto» e cascine riguardò, soprattutto dopo la Perequazione generale, la ripartizione delle tasse sulla terra derivanti dalla fiscalità statale. È verosimile che, al pari di quanto avvenne altrove in Piemonte, le diverse misure di riorganizzazione delle amministrazioni comunali attuate nei primi sei decenni del secolo XVIII abbiano acuito le tensioni tra «recinto» e «cascine» per la ripartizione dei tributi fondiari tra i due tipi di insediamenti. A differenza, invece, di quanto avvenne altrove nella pianura piemontese, è probabile che le tensioni centrifughe e le tentazioni di scorporo delle cascine di fronte a un tendenziale inasprimento della fiscalità terriera siano state attenuate e sopite grazie al controllo politico e sociale esercitato in blocco dai grandi proprietari fondiari di Sant’Albano sulla comunità nel suo insieme.
L’indizio più suggestivo in questo senso è rappresentato dai grandi accordi, o «transazioni» con la comunità di Sant’Albano, grazie alle quali, negli anni 1760-61, al culmine, cioè, delle riforme delle amministrazioni comunali, i grandi proprietari dotati di diritti signorili accordarono concessioni sia agli abitanti delle cascine sia a quelli del «recinto». Questi accordi riguardarono i diritti di molitura dei cereali e di panificazione, i diritti di «pedaggio» sulle merci trasportate dagli abitanti, i diritti di pascolo. Queste forme di prelievo di ricchezza sugli abitanti vennero, nel loro complesso, ridotte e stabilizzate grazie alla loro trasformazione in debiti fissi gravanti sul bilancio comunale. E tuttavia questi stessi accordi contennero clausole, quali la conferma di diritti di pascolo a favore dei grandi proprietari su tutta l’area del territorio o le persistenti differenze di trattamento tra «recinto» e cascine per le altre voci degli accordi, che mantenevano, e forse rafforzavano, i vincoli di dipendenza e subordinazione politica e amministrativa delle cascine dal «recinto».
Implicita in questo quadro di latenti tensioni territoriali è l’esistenza di una popolazione di proprietari-coltivatori indipendenti dai rapporti di colonia parziaria sui poderi dei grandi proprietari. Nel corso dell’età moderna, per esempio, e fino almeno al secolo XVIII inoltrato, sono attestati diversi esempi di proprietari provenienti da famiglie di origine mercantile dell’area di Mondovì che acquistarono e gestirono in proprio, oltre che tramite «massari», sul territorio di Sant’Albano, dove si trasferirono, poderi di dimensioni sufficienti per sostentarsi con il reddito agricolo. Manca per ora uno studio sull’evoluzione nel tempo della presenza di simili proprietari-coltivatori indipendenti, come peraltro degli altri ceti della popolazione locale. Alcuni indizi, sia pure in assenza di studi approfonditi, suggeriscono in questo stesso arco di tempo una compressione, una diminuzione in termini relativi e forse in termini assoluti, di simili proprietari indipendenti, sia immigrati sia di origine locale. Un importante indizio indiretto in questo senso è offerto dalla precoce – a partire dal secolo XVI – riduzione e progressiva scomparsa, entro la fine del secolo successivo, delle terre di proprietà comunale, che consentivano importanti integrazioni di reddito alle famiglie di coltivatori-proprietari indipendenti meno dotate di beni fondiari.
Di converso, molti indizi suggeriscono l’effettiva, crescente pressione di un ceto di contadini poveri e senza terra tra l’età moderna e quella contemporanea. Ne sono indizi indiretti le crescenti funzioni assistenziali della confraternita dei Disciplinanti di Santa Croce e la continua espansione del locale ospedale gestito dalla confraternita stessa con funzione di ricovero periodico o permanente dei poveri. Un ulteriore indizio di riduzione, per così dire, di un “ceto” medio di coltivatori indipendenti è suggerito dalla diminuzione del numero di altari gestiti da famiglie abbienti nella chiesa parrocchiale, che da un massimo di venti nel secolo XVI si riducevano, due secoli dopo, ad appena tre. Più tardi, tra la metà del secolo XIX e la metà del XX, il declino dell’industria serica, che offriva impiego ai contadini senza terra nelle operazioni legate alla gelsicoltura, riportava in primo piano l’esistenza di una popolazione povera nelle due forme dell’emigrazione e del movimento economico e politico – localmente assai conflittuale – per la costituzione e successiva rifondazione di istituzioni cooperative di credito rurale.
Un esempio suggestivo di documentazione archeologica è offerto da una lapide romana, proveniente dall’attuale concentrico, che fa riferimento al luogo del ritrovamento come vicinia e ne definisce forse, nell’abbreviazione «LL» («Limes Loci»), un termine di confine. La suggestione è, dunque, costituita qui dall’indizio di una organizzazione territoriale che potrebbe essere stata costituita da un complesso di diversi insediamenti separati e al tempo stesso più circoscritti rispetto all’odierno territorio di Sant’Albano preso nel suo insieme. In epoca più recente, la gestione della confraria dello Spirito Santo, a cui abbiamo accennato, suggerisce analogamente la gestione di un’unità territoriale circoscritta, definita, in questo caso, dalle proprietà delle famiglie di vicini che vi sono insediate.
È ipotizzabile che un declino di insediamenti esterni al concentrico sia stato una delle conseguenze, sia dirette sia indirette, dei conflitti intorno alla signoria esercitata su Sant’Albano dai vescovi di Asti a partire dal secolo X. In particolare, è verosimile che la costruzione e manutenzione delle mura intorno al «recinto», mentre promuoveva la preminenza dei nuclei abitativi che vi erano inclusi, abbia corrisposto a un tendenziale spopolamento o abbandono di altri insediamenti. Un simile processo poté trarre impulso dalle guerre condotte contro i vescovi di Asti da Sant’Albano nel quadro della lega o alleanza formata con Alessandria, Mondovì e altre località negli anni successivi al 1236. È certo, per esempio, che la demolizione o l’abbandono di borgate lungo lo Stura fu una delle conseguenze della fine di una breve infeudazione alla famiglia Amentoni di Fossano nel 1240. È possibile, inoltre, che il declino demografico tardomedievale come condizione per l’appoderamento che plasmò successivamente il territorio di Sant’Albano abbia accentuato la dicotomia insediativa recinto-campagna.
Sotto molti punti di vista l’infeudazione di Sant’Albano a potenti signori laici legati direttamente ai governanti dello stato rintuzzò definitivamente le antiche aspirazioni della popolazione locale alla libertà dal dominio signorile. Queste aspirazioni si erano manifestate nel 1240, come accennato sopra, in una rivolta contro la famiglia Amentoni di Fossano. La rivolta aveva portato alla revoca dei diritti signorili concessi agli Amentoni. La stessa sorte era toccata nel 1283 alla famiglia Drus di Levaldigi, subentrata agli Amentoni e fatta segno a un’analoga opposizione antifeudale. Lunghi conflitti con la famiglia Malabaila di Asti tra il 1320 circa e il 1377 avevano, per una terza volta, portato alla revoca dei diritti loro concessi dai vescovi di Asti. Sebbene tutte queste famiglie di signori locali avessero ottenuto prerogative di dominio su Sant’Albano dai vescovi di Asti, la loro posizione nei confronti della popolazione locale era stata, in definitiva, politicamente più debole rispetto a quella che avrebbero successivamente goduto i signori dipendenti dai Savoia.
Innanzitutto, gli Amentoni i Drus e i Malabila avevano goduto di diritti di dominio su una serie vasta, sì, ma pur sempre limitata di risorse locali, che di volta in volta riguardavano una parte soltanto del territorio, degli abitanti, delle risorse economiche e della giurisdizione. In secondo luogo, il dominio di queste due famiglie era stato, di fatto, limitato nel tempo e nella portata dall’intervento ricorrente di poteri esterni – appunto i Savoia e i marchesi di Monferrato – che nel XIII secolo avevano, sia pure indirettamente, favorito gli sforzi autonomi degli abitanti e dei loro alleati delle città confederate di condizionare lo stesso alto dominio dei vescovi di Asti. Di fatto, mentre i diritti signorili degli Amentoni e dei Malabaila furono effettivamente revocati dai vescovi di Asti in seguito alle pressioni politiche esercitate da più parti in questo senso, il potere dei signori dipendenti dai Savoia – appunto i Beggiamo – rimase per più secoli schiacciante né mai revocato.
È utile riassumere brevemente alcune delle condizioni che circondarono l’infeudazione di Sant’Albano ai Beggiamo per apprezzarne le conseguenze sulla vita locale. Innanzitutto, i diritti loro concessi erano, come accennato, vastissimi, paragonabili, da questo punto di vista, a quegli stessi, antichi, goduti dai vescovi di Asti. Tali diritti riguardavano molti tra gli aspetti cruciali della vita economica, politica e sociale locale. Si trattava, fra gli altri, di prerogative riguardanti il controllo di molti aspetti della vita produttiva su tutte le terre comprese nella comunità: dall’accesso al pascolo e ai fieni ovunque sul territorio di Sant’Albano (con greggi e mandrie di proprietà sia dei signori stessi sia di proprietari esterni alla comunità, che pagavano perciò i signori); al controllo della pesca nel torrente Stura; alla prerogativa di controllare i transiti di merci tramite dazi e pedaggi, ivi compresa, naturalmente, l’esportazione di prodotti agricoli da parte dei coltivatori locali nonché l’importazione di derrate alimentari.
Le prerogative dei signori si estendono però al controllo stesso delle vie di accesso tramite il monopolio dei traghettamenti sul torrente Stura verso la vicina città di Fossano e il nord del Piemonte; alla macinazione e panificazione dei cereali; all’esercizio della giustizia. Si tratta, fin qui, di un elenco solo parziale di diritti sanciti dal potere dei Savoia, la cui portata effettiva fu però estesa, corroborata e sorretta da un effetto cumulativo di prerogative esercitate di fatto. In teoria l’infeudazione ai Beggiamo era limitata al cosiddetto «dominio utile» su Sant’Albano, riservando ai Savoia ampie prerogative di «dominio diretto». Alla prova dei fatti, tuttavia, il cumulo di poteri esercitati sul controllo della terra e della vita produttiva, sommati, come furono, a quelli arbitrari o «bannali» esercitati su molti aspetti della vita economica e sociale della comunità, nonché a quelli riguardanti, alla lunga, lo statuto giuridico, sociale e personale della quasi totalità degli abitanti di Sant’Albano, consentì ai signori di realizzare l’aspirazione a una sorta di piccola “signoria territoriale”: un dominio chiuso e diretto su quasi ogni aspetto della vita di Sant’Albano.
Per inquadrare più compiutamente le premesse storiche di questo sviluppo eccezionale di poteri occorre soffermarsi brevemente sulle circostanze politiche che contribuirono a sancire l’infeudazione di Sant’Albano ai Beggiamo. Fu infatti ancora una volta, sia pure indirettamente, l’eredità politica dei vescovi di Asti, oltre che il dominio sabaudo in senso stretto, a condizionare la configurazione dei diritti signorili su Sant’Albano nel lungo periodo da un punto di vista giurisdizionale e patrimoniale. Alla base, questa volta, occorre tenere presente la fondazione della diocesi di Mondovì, che avvenne nel 1388 attraverso lo scorporo di una parte di quella di Asti. Mentre ereditava una parte della signoria spirituale della diocesi di Asti, la nuova diocesi di Mondovì subentrava anche, almeno nominalmente, ai diritti esercitati da quest’ultima entro la propria giurisdizione patrimoniale sotto forma di prelievo di rendite agricole. Sebbene non fossero definiti nel dettaglio, questi diritti di rendita furono largamente sussunti sotto la nozione di diritti di riscossione della decima.
Ora, all’atto dell’infeudazione del 1412 ai Beggiamo, né le rendite del nuovo vescovato di Mondovì né quelle spettanti ai nuovi signori furono definite con precisione tale da evitare controversie circa le prerogative delle due giurisdizioni contendenti. In particolare, il diritto rivendicato dai nuovi vescovi di Mondovì di riscuotere decime su Sant’Albano si configurava giuridicamente come la premessa dell’esercizio di quello stesso «dominio utile» che i Savoia concedevano ora ai Beggiamo. La soluzione, raggiunta nel 1441, fu quella di riconoscere da un punto di vista giuridico il dominio utile dei vescovi di Mondovì, salvo la cessione, in pratica, del medesimo diritto ai Beggiamo in cambio del diritto dei vescovi di Mondovì di riscuotere rendite sotto forma di decime.
Ciò che rese questa stipulazione gravida di conseguenze locali fu l’importanza che i Savoia stessi accordarono sempre alle decisioni del papa Felice V, che fu l’autore politico dell’accordo. Poiché le decisioni di papa Felice V furono per secoli alla base delle prerogative giurisdizionali più vantaggiose conquistate dai Savoia nei confronti della Chiesa cattolica in moltissimi settori e località dei propri domini, la stipulazione raggiunta nei rapporti tra i vassalli laici dei duchi di Savoia e i vescovi di Mondovì a Sant’Albano fu sempre rispettata e sostenuta come parte di un quadro politico di portata assai più ampia, né venne mai posta in discussione. Localmente, il peso politico più ampio del consolidamento dei diritti signorili su Sant’Albano ebbe l’effetto di promuovere un potere concentrato nelle mani tanto dei rappresentanti dei vescovi di Mondovì, in particolare il capitolo della cattedrale, e dei signori laici, senza che questo potere fosse mai minacciato in epoca successiva dallo sviluppo di aperti conflitti.
Per ciò che riguarda i signori laici, i Beggiamo furono nominalmente parte di un consortile condiviso, teoricamente, con altri signori. Tuttavia, questa divisione di poteri restò puramente teorica, giacché la stragrande maggioranza delle «quote» giuridiche del consortile erano saldamente in mano ai Beggiamo e così pure le quote minoritarie. Solo nel 1741 le quote minoritarie (pari a 1 «punto» e un quarto di giurisdizione su un totale di 12 «punti») passarono alla famiglia Fauzone di Mondovì, una delle famiglie provviste di canonicati nella cattedrale monregalese, l’istituzione che godeva collettivamente dei diritti di riscossione delle decime; già nel 1665 la famiglia Fauzone risultava tra i massimi proprietari fondiari di Sant’Albano. Il dominio signorile dei Beggiamo proseguì fino all’estinzione della famiglia nel 1789, quando la signoria passò alla famiglia Barel, che acquistò anche la quota dei Fauzone.
I diritti signorili sul controllo delle risorse produttive furono, come accennato sopra, enormemente rafforzati nel corso del tempo dal controllo diretto di vastissime estensioni di proprietà fondiaria. La posizione di grandi proprietari di poderi condotti a colonia parziaria influì a sua volta sia sul controllo, crescente, della circolazione della produzione agricola eccedente al fabbisogno delle famiglie coltivatrici sia sulla condizione giuridica delle stesse famiglie coltivatrici. In misura crescente, fino all’età moderna inoltrata e anche più tardi, i grandi proprietari dotati di diritti signorili ebbero la tendenza a ravvisare nell’economia di Sant’Albano una sorta di “riserva signorile” territorialmente delimitata e compatta, la cui funzione economica era quella di assicurare un reddito netto ai proprietari grazie all’esportazione delle eccedenze agricole, mentre l’economia interna della comunità restava subordinata a molti aspetti di un monopolio economico dei proprietari-signori stessi e offriva loro ulteriori mezzi di guadagno economico.
Parallelamente, il controllo diretto esercitato dai proprietari-signori sulla conduzione delle proprie cascine, grazie ai patti colonici di conduzione dei poderi affidati alle famiglie di massari, consentiva ai primi di definire per moltissimi aspetti non solo la condizione economica dei massari, ma anche, in senso lato, la loro condizione giuridica e sociale. In particolare, i patti colonici con i massari e ogni altro aspetto della giustizia civile locale ricadeva sotto la giurisdizione del giudice nominato dai signori stessi. L’immigrazione e la residenza della parte più prospera della popolazione locale, comprendente tanto i notabili del «recinto» quanto i più agiati tra i massari, era largamente condizionata dalla volontà dei signori-proprietari.
È probabile che la forza dell’accordo politico sopra accennato intorno all’infeudazione di Sant’Albano vi abbia favorito una sostanziale assenza di conflitti tra signori laici e istituzioni ecclesiastiche, che, anzi, sembrano avere agito sempre di concerto. Un momento saliente della compenetrazione di poteri laici ed ecclesiastici fu certo rappresentato dagli anni 1656-62, quando Michele Beggiamo fu vescovo di Mondovì. In questo periodo fu consolidato un sistema di stretto patronato, sia pure informale, dei Beggiamo stessi sulla parrocchia, istituzione che, come abbiamo ricordato, veniva frattanto trasferita entro il «recinto» e che già dall’inizio del Seicento era saldamente in mano a una linea di discendenza di notabili, lo zio e il nipote Ambrosio, favoriti dagli stessi signori. I forti legami istituiti con la diocesi di Mondovì si rifletterono in seguito, fino almeno a metà Ottocento, nel frequente reclutamento dei parroci di Sant’Albano dalla città di Mondovì.
Successivamente Michele Beggiamo divenne arcivescovo di Torino e non cessò di favorire il clero locale. In particolare, vennero ravvivati e rafforzati i diritti della piccola «congregazione» parrocchiale di canonici, istituita fin dal 1226 e composta di 4-6 membri capeggiati dal parroco o prevosto. Grazie a un accordo intorno ad antichi diritti di decimazione, i parroci di Sant’Albano e i loro canonici divennero, fra l’altro, proprietari di terre a Trinità (fino a un massimo di quasi cento ettari «immuni» da ogni prelievo fiscale nel secolo XVIII). Ma la natura delle prerogative dei parroci si estendeva inoltre a un’ampia gamma di diritti signorili, paralleli per molti aspetti a quelli dei signori laici: dal diritto bannale di forno, a un’ampia serie di prelievi in denaro e in natura (pascaggio, cotizzo, giogatico ecc.), con corrispettivi privilegi ed esenzioni dalla fiscalità statale che si estendevano ai massari delle terre parrocchiali. Da questo punto di vista, una forte comunanza di interessi legò i signori laici al clero locale.
Molto meno visibile è la presenza dei grandi proprietari ecclesiastici appartenenti agli ordini regolari, che possedevano a Sant’Albano durante l’età moderna circa 200 ettari di terre assai fertili e fiscalmente «immuni». Le istituzioni proprietarie erano, per parti di territorio grosso modo simili, i Certosini di Casotto e le Monache di Santa Maria Maddalena di Mondovì: i primi con poco più di un decimo delle proprietà fondiarie complessive che avevano sparse nell’area monregalese e nella pianura adiacente, le seconde per quasi la metà delle loro proprietà complessive. La parte svolta da queste grandi istituzioni ecclesiastiche di proprietari assenteisti richiede ulteriori ricerche per conoscerne l’influenza e la portata sulla vita locale. È possibile, in prima approssimazione, ipotizzare che la strenua difesa esercitata localmente da parte dei signori laici e del clero secolare di Sant’Albano contro le pressioni fiscali del governo centrale abbia largamente favorito gli interessi dei grandi proprietari assenteisti e corroborato la concentrazione del potere politico locale in mano ai signori laici e al clero secolare.
L’importanza assegnata dai signori locali ai propri diritti di origine feudale è posta in evidenza dall’aggressiva tutela che ne fecero, difendendoli a oltranza. Gli anni 1760-61, come abbiamo accennato, segnarono una importante tappa nei rapporti tra i signori e l’amministrazione comunale di Sant’Albano, ma gli accordi o «transazioni» allora raggiunti, lungi dal rappresentare un cedimento da parte dei signori, rafforzarono e consolidarono le prerogative preesistenti, in particolare per ciò che riguardava i diritti di pascolo. Un accordo di rinuncia ad alcuni diritti di pascolo da parte dei signori Barel a fine Settecento ebbe a sua volta come contropartita la liquidazione a favore dei signori delle residue terre di uso collettivo possedute dalla comunità. Molti diritti, quali per esempio la bannalità del mulino e i diritti di transito, furono tenacemente restituiti durante la Restaurazione e difesi fino alla loro abolizione legale nel 1851. Non minore tenacia fu dimostrata dal clero parrocchiale.
Nei rapporti con il governo centrale, la forza e la concentrazione dei poteri signorili ebbe come contropartita una relativa debolezza dell’influenza diretta del governo centrale sulla vita amministrativa di Sant’Albano. Le premesse di questa debolezza risalgono, forse, ai primi interventi diretti dei Savoia nella vita locale grazie al divieto di installare ufficiali sabaudi nella comunità previsto dalla tregua del 1402 stipulata con i marchesi di Monferrato. Più certa è l’ampia delega di potere accordata dai Savoia ai Beggiamo in premio di una fedeltà plurisecolare. La lealtà dinastica dei Beggiamo si può apprezzare a paragone, per esempio, della relativa irrequietezza dimostrata più volte durante l’età moderna dai vicini signori Costa di Trinità. In particolare, le simpatie coerentemente «filofrancesi» dei Beggiamo ne provocarono, per esempio, la distruzione del castello da parte dei «filoimperiali» Costa nel 1554, ma si rivelarono particolarmente benefiche ai signori di Sant’Albano durante la lunghissima successiva fase di politica largamente filofrancese dei governanti sabaudi.
Questa fase, che durò per gran parte dell’età moderna e corrispose all’avvio dei grandi processi di accentramento politico e amministrativo dello Stato sabaudo, premiò, in un certo senso, sul lungo periodo i Beggiamo sotto forma di ingerenze tardive, limitate e tenui da parte del governo centrale nelle loro prerogative signorili. Così, per esempio, l’invio di commissari statali nel 1663 con il compito di istituire quasi da zero un’amministrazione comunale azzerata da quasi un secolo (e priva, fra l’altro, di qualsiasi memoria scritta) sancì, per molti aspetti, il fatto compiuto delle vastissime esenzioni fiscali godute dai signori e dagli altri grandi proprietari laici ed ecclesiastici di Sant’Albano. Come abbiamo accennato, la capacità dei signori e degli altri grandi proprietari di resistere alle successive riforme amministrative e fiscali del secolo XVIII fu, probabilmente, non meno efficace.
È verosimile che nel corso dell’età moderna, e forse anche oltre, tutta la comunità abbia beneficiato del potere politico dei signori-proprietari locali sotto forma di valutazioni della produttività della terra – e quindi del corrispondente gettito fiscale dovuto allo Stato – globalmente più contenute di quanto non sarebbero state in presenza di detentori locali di potere più deboli e meno concentrati. È certo, tuttavia, che simili, eventuali vantaggi complessivi furono goduti in maniera quanto mai sperequata dai diversi ceti e segmenti che componevano la popolazione locale. A parte la sperequazione fiscale insita nei privilegi accordati ai signori e ai loro dipendenti sotto forma di esenzioni, basti considerare, come esempi, il peso degli alloggiamenti di truppe (soprattutto cavalleria), che, in assenza di accasermamenti, vennero inviate regolarmente dal governo centrale durante tutto il corso dell’età moderna ad alloggiare e foraggiare a Sant’Albano grazie anche alla buona accoglienza loro accordata dai signori del luogo a spese, però, dei coltivatori indipendenti, o, tutt’al più, dei massari, ma non dei signori-proprietari.
Non è un caso se gli stessi signori e gli altri membri di una cerchia ristretta di notabili del «recinto» figurarono durante l’età moderna tra i grandi creditori della comunità di Sant’Albano in virtù di anticipi di denaro concessi all’amministrazione comunale per far fronte ai debiti contratti verso il governo centrale, né se fino a secolo XIX inoltrato la povertà, le malattie, la malnutrizione e l’usura furono lungamente considerate le piaghe dei salariati e della popolazione priva di terra coltivabile, a cui le pur fervide attività assistenziali promosse e gestite dai signori e dal clero locale entro il «recinto» non poterono far fronte.
Fossano dista appena cinque chilometri da Sant’Albano contro i circa venti di Mondovì. Occorre dunque soffermarsi brevemente sulla gravitazione storica di Sant’Albano sul Monregalese e la città di Mondovì per apprezzare appieno l’importanza dei fattori politici ed economici nel determinare l’organizzazione del territorio di Sant’Albano a dispetto della sua prossimità geografica a Fossano. Ravvisare nel torrente Stura un limite “naturale” che ostacolò lungamente le comunicazioni verso Fossano è in parte ragionevole, data l’assenza di un ponte sul torrente fino al 1851. Tuttavia, è la stessa lunga assenza del ponte a richiedere una spiegazione.
Sebbene il corso irregolare del torrente e le sue piene periodiche abbiano certo costituito per lungo tempo un ostacolo alla costruzione di un ponte, questo esisteva forse in epoca romana. Soprattutto, ciò che esisteva era un’opera stradale permanente, la cui importanza è attestata documentariamente fino oltre la metà del secolo XIII e le cui tracce archeologiche erano visibili a fine Ottocento nella regione Ponte-vé dirimpetto a Fossano. Di fatto, i confini «tra Tanaro e Stura» dell’antico Comitato di Bredolo e la giurisdizione tardomedievale dei vescovi di Asti forniscono le basi storiche, sia pure indirette, di questo aspetto dell’organizzazione del territorio di Sant’Albano. Su queste basi, ciò che possiamo ravvisare è un processo plurisecolare di crescente controllo locale delle vie di comunicazione, degli scambi commerciali e dei transiti attraverso il territorio di Sant’Albano.
Molti dei conflitti medievali, accennati sopra, che interessarono il territorio di Sant’Albano ebbero come componente essenziale l’esercizio di un controllo dei transiti e dei pedaggi imposti sui transiti. Così, per esempio, la fine della giurisdizione degli Amentoni di Fossano del 1240, sopra accennata, ebbe la conseguenza, fra l’altro, di abolirne le rivendicazioni di riscossione di pedaggi su uomini e merci, che ritornarono, almeno temporaneamente, in mano ai vescovi di Asti. Più in generale, la riscossione di diritti di transito su uomini, merci e bestiame fu un aspetto centrale dei conflitti e degli accordi tra i Savoia e i marchesi di Monferrato che interessarono direttamente Sant’Albano nei decenni successivi.
I diritti rivendicati all’epoca sui flussi di scambio riguardavano tipicamente i commerci dei mercanti astesi lungo una direttrice che legava la Riviera ligure all’alta pianura del Po e, di lì, alla Francia. Da questo punto di vista, l’ubicazione geografica e la storia antica di Sant’Albano ne facevano uno dei crocevia entro una più ampia direttrice di comunicazioni. È stata spesso segnalata in questo senso la posizione di Sant’Albano come snodo di due importanti vie di comunicazione lungo questa direttrice già assai attive in epoca romana: la cosiddetta Via Julia Augusta, protesa verso sud-ovest in direzione di Morozzo-Chiusa Pesio, e la cosiddetta Via Sonia, orientata verso Magliano-Carassone-Casotto-Ormea. In particolare, la regione San Massimo sul territorio di Sant’Albano, sito ricco di reperti archeologici, è stata segnalata come possibile luogo di diramazione delle due vie di comunicazione.
Tra la fine del medioevo e l’età moderna è possibile ipotizzare una profonda trasformazione nella vocazione di Sant’Albano come crocevia commerciale. Nel lungo periodo, questa trasformazione comportò senz’altro una diminuzione dell’importanza di Sant’Albano come centro di transito in termini relativi, e probabilmente anche in termini assoluti. Parallelamente, comportò una profonda alterazione nel tipo di merci transitanti per la comunità e nel loro significato commerciale. Queste trasformazioni, d’altra parte, furono strettamente collegate alle profonde trasformazioni che intervennero nell’organizzazione territoriale locale.
L’organizzazione dei poteri laici ed ecclesiastici di Sant’Albano a partire dal tardo medioevo e per tutto il corso dell’età moderna contribuisce largamente a spiegarne l’assorbimento, per così dire, sociale e culturale del comune entro l’area di Mondovì. Per fare un solo esempio, il citato episcopato monregalese di Michele Beggiamo a metà del secolo XVII ebbe luogo a ridosso dell’erezione della nuova diocesi di Fossano e valse quindi, per contrapposizione, a irrigidire i confini della giurisdizione diocesana monregalese lungo il torrente Stura di Demonte che delimita il territorio di Sant’Albano verso Fossano stessa.
L’importanza assegnata dai Beggiamo e dagli altri signori del tardo medioevo e dell’età moderna ai diritti di pedaggio sui flussi commerciali non fu minore di quella già ad essi assegnata dai vescovi di Asti. Per molti aspetti è anzi probabile che i nuovi, piccoli signori, quali i Beggiamo, abbiano compiuto ogni possibile sforzo per far fruttare quanto più possibile il carattere concentrato ed esclusivo delle proprie prerogative. Come abbiamo detto, questi signori locali godevano di amplissimi poteri, che riguardavano non soltanto il diritto di esigere pedaggi su uomini, merci e bestiame, ma anche di amministrare sanzioni per i trasgressori, nonché di esercitare un controllo dei transiti grazie al monopolio «bannale» dei traghettamenti sul torrente Stura. L’aggressiva promozione di queste loro prerogative è illustrata, in un certo senso, dalla tenacia stessa con cui le difesero fino alla loro abolizione legale l’anno stesso della costruzione del ponte sullo Stura a metà Ottocento.
È probabile, peraltro, che, già all’epoca della infeudazione di Sant’Albano ai Beggiamo, l’organizzazione insediativa e territoriale di Sant’Albano fosse in via di tendenziale modificazione. Risaliva, per esempio, a metà del secolo XIII la distruzione su entrambe le sponde della Stura di insediamenti e «borghi», quali quello di Murazzo, sulla sponda sinistra del torrente, o il declino di Ceriolo e San Massimo, su quella destra. Sul territorio di Sant’Albano la delimitazione di un «recinto» rispondeva in parte allo scopo di sorvegliare, controllare e proteggere in modo esclusivo le merci in transito, e contribuì perciò forse in modo autonomo al declino ulteriore di un possibile, antico insediamento policentrico. D’altra parte, il rafforzamento di un concentrico fu un aspetto della riorganizzazione agricola del territorio a cui abbiamo più volte fatto riferimento.
Da un lato, il controllo esercitato dai proprietari-signori sulle eccedenze della produzione agricola sia sotto forma di decime sia sotto forma di rendite contrattuali versate dai massari alimentava flussi di esportazione di grano verso le residenze e i magazzini dei proprietari-signori. Sebbene una verifica di questa ipotesi richieda ulteriori ricerche, è verosimile per più di un motivo che gli stretti legami politici dei proprietari laici ed ecclesiastici con la città di Mondovì e con l’area monregalese abbiano favorito questa direttrice di esportazione oltre, e forse più, che non quella che conduceva alla vicina città di Fossano. L’ipotesi si appella, certo, a motivi logistici, data l’assenza del ponte sullo Stura verso Fossano, ma soprattutto alla posizione privilegiata che i proprietari-signori di Sant’Albano godevano sulla piazza monregalese nelle transazioni commerciali a cui la loro produzione agricola era destinata.
D’altro lato, è verosimile che lo stretto controllo sui pedaggi esercitato dai signori del luogo tendesse, accrescendone i costi di trasporto, a ridurre il flusso di merci in transito per Sant’Albano. In parte, il controllo sopra accennato che i signori-propietari esercitavano sui pascoli e sui fieni serviva, da questo punto di vista, a cercare di attirare attraverso il territorio di Sant’Albano i flussi di bestiame in transito dal Saviglianese e dal Fossanese verso Mondovì e di qui alla Riviera ligure. Tuttavia, la crescente vocazione agricola della comunità e il controllo legittimo esercitato dai signori del luogo sui flussi di merci “legali” tendono in parte a oscurare una vivace circolazione, attestata per tutta l’età moderna, di merci di contrabbando, quali il sale proveniente dalla Riviera ligure attraverso il Monregalese. Difficili da misurare ma certo frequentemente attestati, i flussi di simile merce di contrabbando erano senz’altro diretti a Fossano, Savigliano e Torino. Essi si avvalevano peraltro dell’omertà e della manovalanza di immigrati, chierici e laici, provenienti soprattutto da Mondovì e dall’area monregalese e talvolta residenti a Sant’Albano sotto la protezione tacita dei proprietari-signori e degli altri notabili locali.